mercoledì 26 giugno 2013

In libreria un interessante incontro dell'associazione Anses su "Prato e il gioco d'azzardo patologico".



PRATO_"Quando giocare significa dipendere parliamo di gioco d’azzardo patologico. Questo fenomeno ha radici antichissime ma, nonostante la sua enorme diffusione, soffre ancora di una scarsa consapevolezza sociale e di modalità trattamentali ancora da consolidare.
In una città come Prato le proporzioni del gioco d’azzardo patologico sono in larga parte sommerse, per questo vorremmo invitare la popolazione ad un evento specificatamente dedicato a tutti coloro che sono interessati al tema del gioco".
L’incontro promosso dall’associazione Anses si terrà venerdì 28 giugno con inizio alle ore 18,30 presso la Libreria Feltrinelli in via Garibaldi 92-94 a Prato. Interverranno: Ettore Bargellini, Psicologo e Psicoterapeuta; Francesco Riccardo Becheri, Psicologo e Psicoterapeuta e Martina Taioli, Psicologo.

La partecipazione è gratuita ma è gradita la prenotazione.
Per info e prenotazioni: info@anses.it
  - 0573.26560 - 3319756394 - www.anses.it
Come introduzione all'incontro pubblichiamo volentieri una lunga riflessione dello psicologo Ettore Bargellini sul tema.



Prato e il gioco d’azzardo patologico.
Prendo spunto da un recente, allarmante ed allarmistico, articolo comparso sulle cronache nostrane: “A Prato dilaga il gioco d’azzardo. In una ricerca di Federconsumatori il 56% del campione ne è rimasto vittima.”
Mi lascio così andare a qualche riflessione. Da tempo mi occupo di quello che viene descritto come gioco d’azzardo patologico (GAP). Tale dipendenza, come tutte le altre, trova la sua diffusione anche in corrispondenza dei processi di legittimazione e deresponsabilizzazione operati dalla nostra società.
 
Vi propongo di seguito una breve riflessione su tale argomento.

L’analisi del gioco d’azzardo ci porta a due diverse realtà.
Una di grande diffusione e innocuità dove il gioco assume la forma di una attività libera che permette alla persona di esaltare, modificare, transfigurare la realtà oltre che a crescere in modo sano rispettando la propria autonomia.
L ‘altra di grossa sofferenza e problematicità, contraddistinta da una situazione che spesso diviene intollerabile dal punto di vista personale, familiare e sociale. Riflettere sul gioco d’azzardo pretende dunque di tenere presenti entrambe le dimensioni. Il gioco d’azzardo evoca immagini contraddittorie, di divertimento e di preoccupazione, non solo relativamente all’ambito della morale e della legalità, ma anche nell’ambito più strettamente clinico ed in relazione ai sempre più evidenti e diffusi casi di patologia da gioco.Giocare può essere (dovrebbe essere) un occupazione spensierata, libera dai vincoli della vita reale, che pone tutti i giocatori sullo stesso piano. Solo così il momento ludico si traduce in esperienza irrinunciabile della vita umana, capace di rapire il soggetto, elargire gioia e liberarlo dalla ripetitività dell’esistenza.Si scopre così quell ‘importanza ontologica del gioco sostenuta da Eugen Fink nel suo saggio”Oasi della gioia” (1957).“Il gioco rassomiglia a un oasi di gioia raggiunta nel deserto del nostro tendere e della nostra tantalica ricerca .
Il gioco ci rapisce .
Giocando siamo un po’ liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti su un nuovo mondo dove la vita appare più leggera, più aerea, più felice”(p.8). D’altra parte giocare d’azzardo fa anche appello al nostro desiderio di onnipotenza, ambizione che non può far altro che scontrarsi con una quantità di fattori incontrollabili. Giocare è sinonimo d’ interruzione della routine, prendersi una pausa e alleggerirsi del peso dell’esistenza. Ma se dovessimo parlare del gioco soltanto come un oasi della gioia volgeremmo la nostra attenzione solo sulla faccia luccicante di una medaglia che nel suo rovescio cela una realtà potenzialmente devastante. L’esperienza ludica può essere totalmente fagocitante da non aver più niente in comune con la sua funzione ricreativa. Così il gioco da magico può rivelarsi demoniaco.
Il momento ludico può trascinare l’uomo, talvolta nell’arco di un’ esistenza, talvolta con modalità più dirompenti, (ci sono storie di persone che si giocano tutto in una notte, dove sono sufficienti poche scommesse per decidere se affidare tutto ciò che si è e che si ha nelle mani della sorte) nel mondo incandescente che è tipico del gioco d’azzardo.
Il mio impegno nell’affacciarmi a tale fenomeno è quello di considerarlo nei suoi molteplici aspetti, guardarlo nella globalità di una realtà antica quanto l’essere umano ma che, da un punto di vista scientifico, è ancora ai suoi esordi.
Giocatori d’azzardo lo sono potenzialmente e innocuamente tutti, in tutti albergano le stesse pulsioni di irresistibile attrazione verso il rischio contrapposte a quelle di censura e di rifiuto moralistico. Sono dinamiche che spaccano l’individuo a prescindere dalla sua patologicità.
Rischiare e azzardare emergono come componenti che evadono dallo specifico del gioco e invadono ogni aspetto della nostra vita. 
Il caso infatti sembra dominare la vita dell’uomo, beffando di continuo il suo bisogno di previsioni certe (Ekeland,1992).
Per molto tempo ha dominato una visione del gioco d’azzardo, oltre che moralistica, elitaria, dostoevskijana ,riferita a mondi passati e diversi.
Forse, proprio perchè così distante, tale rappresentazione del gioco d’azzardo ci affascina lasciandoci allo stesso tempo indifferenti. Oggi giocare d’azzardo non appartiene più soltanto a classi sociali abbienti che annoiate e aliene alla vita comune sperperano il loro denaro nei casinò. Oggi, più semplicemente e più spesso, sono le persone come noi che dilapidano uno stipendio al bar sotto casa.
Ancora oggi, come soprattutto nota Dickerson (1984), l’introduzione del gambling nel D.S.M. manifesta grosse lacune.
Lo studio del gioco d’azzardo patologico è terreno sul quale non si incontrano pareri unanimi, a partire dai criteri diagnostici fino alla semplice definizione della categoria nosografica di giocatore d’azzardo.
In letteratura l’interesse è stato rivolto soprattutto alla dimensione patologica mirando, non senza difficoltà, al suo inquadramento diagnostico e al suo studio come forma di addiction, recentemente però l’attenzione si è anche indirizzata verso la comprensione dell’aspetto sociale del gioco d’azzardo e quindi all’aspetto non patologico dello scommettitore occasionale e di quello abituale (Lavanco, 2001).
Parlare di gioco d’azzardo vuol dire confrontarsi con un fenomeno la cui complessità e l’ambivalenza, si articola su un probabile e drammatico continuum che comprende una zona di gioco mondo mondo ricreativo Caratterizzato da divertimento e socializzazione, fino a giungere ad una deriva fatta d’abuso e di sofferenza.
Si può perciò descrivere un’ampio percorso che nasce dalle origini storico-antropologiche del gioco e che nei secoli, attraverso diversi paradigmi, giunge a una visione medico-psicologica dell’azzardo. Perché dell’azzardo si può parlare come dell’eterna passione umana per il rischio, ma anche, nellla deriva della dipendenza, attraverso le più recenti prospettive terapeutiche.


Fonte:
http://www.psicologo-prato-pistoia.it

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