sabato 12 gennaio 2013

Quando Vauro seminava mutande nel deserto. Il noto vignettista pistoiese ricorda la figura di don Ferrero Battani: "Era una persona speciale: sapeva ascoltare". Un parroco/insegnante amico per generazioni di giovani pistoiesi. Celebrati a Valdibure i funerali.

PISTOIA –  Fra i tanti ragazzi e ragazze che si portava a giro, sulle Dolomiti o in vari Paesi di un'Europa ancora densa di frontiere, c'era pure un Vauro poi destinato a diventare famoso: quel Vauro Senesi nato a Pistoia nel marzo 1955 e oggi vignettista, giornalista, opinionista anche televisivo; da tutti conosciuto solo con il nome di battesimo.
Negli anni sessanta/settanta, il giovane Vauro frequentava, nella sua città natale, un prete nato nel 1931 a Gavinana  sulle montagne attorno a Pistoia, e decisamente “attrezzato” a stare con i giovani per accompagnarli, anche come insegnante in scuole superiori e come assistente scout, a giro per il mondo: era don Ferrero Battani, parroco per oltre mezzo secolo nella piccola e affascinante chiesetta di Valdibure, sulle colline che sovrastano Pistoia.  Parroco ma anche, per trent'anni, insegnante di religione alle Mantellate e al liceo scientifico statale di Pistoia.

Don Ferrero – sacerdote molto popolare a Pistoia - è morto due giorni fa, nel suo 82mo anno di vita, a causa di una malattia che ne aveva minato il corpo. E questa mattina, celebrati dal vescovo Mansueto Bianchi e con una grande partecipazione di fedeli, nella chiesetta di Valdibure si sono svolti i funerali. ("Don Ferrero - ha detto nell'omelia mons. Bianchi - ha conquistato il cuore di una città perché la gente è stata la sua famiglia, la sua casa, e lui casa per la gente; don Ferrero era un uomo, un prete, che sapeva amare. Con semplicità, con solidità, con apertura a tutti. Oggi vorremmo scritto sulla sua tomba una frase biblica che più volte, pensando a lui, mi è venuta in mente: il Signore gli donò un cuore grande, come la spiaggia del mare. Quello di don Ferrero era un cuore innamorato e, proprio perché innamorato, somigliava, più di ogni altro, al cuore di Dio”).
Vauro, sempre e solo con il nome di battesimo, è citato varie volte e sempre con grande simpatia, proprio da don Ferrero, in una piccola pubblicazione (“Frammenti di infinito”) voluta dal sacerdote due anni fa, in occasione del suo ottantesimo compleanno. Sono “pensieri, riflessioni e ricordi”, trascritti da Paola Vivarelli, in cui l'anziano parroco riferisce i suoi ricordi anche di animatore giovanile.
Un ricordo è ambientato sulle Dolomiti: in un “campo mobile di dieci giorni “a cui prese parte anche il giovane Vauro. “Quando si arrivò a superare la Croda del Becco – racconta don Ferrero riferendosi alla vetta sopra Braies - c'era un ghiaione molto ripido attraversato dal sentiero. A un certo punto c'era un passaggio pericoloso, dove avevano messo una corda, ma Vauro, che soffriva di vertigini, si mise a sedere e, imprecando contro il pretaccio con cui era andato e il Vaticano, non voleva andare avanti. Poi, o impaurito dal fatto che sarebbe rimasto solo o dal fatto che, anche tornando indietro, avrebbe dovuto affrontare le stesse difficoltà, gliela fece ad andare avanti”.

Un altro ricordo rimanda a un soggiorno nel Sahara: anche in questo caso c'era Vauro, la cui mamma – racconta don Ferrero – “gli aveva dato un cambio per ogni giorno, da buttare via, e Vauro disseminava mutande lungo il deserto”. In quel deserto - dove il prete aveva portato un gruppo di giovani (“un clan diviso fra chi si professava ateo e chi invece aveva tensioni notevoli riguardo alla fede”) per confrontarsi con il monachesimo dei Piccoli Fratelli secondo la regola di Charles de Foucauld – il giovane Vauro “era venuto vestito da colonialista, con il casco, la sahariana, il kepì, pantaloni alla zuava e gambali di cuoio. E a ogni duna superata, camminando nella sabbia, Vauro si doveva fermare e farsi sfilare gli stivali che si erano riempiti di sabbia arrivando, a sera tardi, con i piedi pieni di vesciche”.
 
Confermando di essere proprio lui il Vauro protagonista di quelle esperienze giovanili con don Ferrero, Vauro Senesi si rammarica di non poter essere intervenuto ai funerali e racconta di un “rapporto molto positivo con don Ferrero, anche grazie alla sua preziosa capacità di ascoltare. Era una persona davvero speciale – prosegue – e attraverso di lui ebbi modo di conoscere la straordinaria esperienza, proprio nel deserto del Sahara, con i Piccoli Fratelli di Gesù”.
 
 
 
 
 
Fonte: Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Pistoia-Mauro Banchini
 
 

 

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