Negli anni
sessanta/settanta, il giovane Vauro frequentava, nella sua città natale, un
prete nato nel 1931 a Gavinana sulle
montagne attorno a Pistoia, e decisamente “attrezzato” a stare con i giovani
per accompagnarli, anche come insegnante in scuole superiori e come assistente
scout, a giro per il mondo: era don Ferrero Battani, parroco per oltre mezzo secolo
nella piccola e affascinante chiesetta di Valdibure, sulle colline che
sovrastano Pistoia. Parroco ma anche,
per trent'anni, insegnante di religione alle Mantellate e al liceo scientifico
statale di Pistoia.
Don Ferrero –
sacerdote molto popolare a Pistoia - è morto due giorni fa, nel suo 82mo anno
di vita, a causa di una malattia che ne aveva minato il corpo. E questa
mattina, celebrati dal vescovo Mansueto Bianchi e con una grande partecipazione
di fedeli, nella chiesetta di Valdibure si sono svolti i funerali. ("Don
Ferrero - ha detto nell'omelia mons. Bianchi - ha conquistato il cuore di una
città perché la gente è stata la sua famiglia, la sua casa, e lui casa per la
gente; don Ferrero era un uomo, un prete, che sapeva amare. Con
semplicità, con solidità, con apertura a tutti. Oggi vorremmo scritto sulla sua
tomba una frase biblica che più volte, pensando a lui, mi è venuta in
mente: il Signore gli donò un cuore
grande, come la spiaggia del mare. Quello di don Ferrero era un
cuore innamorato e, proprio perché innamorato, somigliava, più di ogni altro,
al cuore di Dio”).
Vauro, sempre
e solo con il nome di battesimo, è citato varie volte e sempre con grande
simpatia, proprio da don Ferrero, in una piccola pubblicazione (“Frammenti
di infinito”) voluta dal sacerdote due anni fa, in occasione del suo
ottantesimo compleanno. Sono “pensieri, riflessioni e ricordi”, trascritti da
Paola Vivarelli, in cui l'anziano parroco riferisce i suoi ricordi anche di
animatore giovanile.
Un ricordo è
ambientato sulle Dolomiti: in un “campo mobile di dieci giorni “a cui prese
parte anche il giovane Vauro. “Quando si arrivò a superare la Croda del Becco –
racconta don Ferrero riferendosi alla vetta sopra Braies - c'era un ghiaione
molto ripido attraversato dal sentiero. A un certo punto c'era un passaggio
pericoloso, dove avevano messo una corda, ma Vauro, che soffriva di vertigini,
si mise a sedere e, imprecando contro il pretaccio con cui era andato e
il Vaticano, non voleva andare avanti. Poi, o impaurito dal fatto che
sarebbe rimasto solo o dal fatto che, anche tornando indietro, avrebbe dovuto
affrontare le stesse difficoltà, gliela fece ad andare avanti”.
Un altro
ricordo rimanda a un soggiorno nel Sahara: anche in questo caso c'era Vauro, la
cui mamma – racconta don Ferrero – “gli aveva dato un cambio per ogni giorno,
da buttare via, e Vauro disseminava mutande lungo il deserto”. In quel deserto
- dove il prete aveva portato un gruppo di giovani (“un clan diviso fra chi si
professava ateo e chi invece aveva tensioni notevoli riguardo alla fede”) per
confrontarsi con il monachesimo dei Piccoli Fratelli secondo la regola di
Charles de Foucauld – il giovane Vauro “era venuto vestito da colonialista, con
il casco, la sahariana, il kepì, pantaloni alla zuava e gambali di cuoio. E a
ogni duna superata, camminando nella sabbia, Vauro si doveva fermare e farsi
sfilare gli stivali che si erano riempiti di sabbia arrivando, a sera tardi,
con i piedi pieni di vesciche”.
Confermando
di essere proprio lui il Vauro protagonista di quelle esperienze giovanili con
don Ferrero, Vauro Senesi si rammarica di non poter essere intervenuto ai
funerali e racconta di un “rapporto molto positivo con don Ferrero, anche
grazie alla sua preziosa capacità di ascoltare. Era una persona davvero
speciale – prosegue – e attraverso di lui ebbi modo di conoscere la
straordinaria esperienza, proprio nel deserto del Sahara, con i Piccoli
Fratelli di Gesù”.
Fonte: Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Pistoia-Mauro Banchini
Nessun commento:
Posta un commento