sabato 27 luglio 2013

In difesa delle vittime della violenza e dei maltrattamenti chiesta l'attuazione del Progetto "Codice Rosa" anche a Pistoia: Sabrina Sergio Gori scrive al direttore generale Asl di Pistoia Roberto Abati.



QUARRATA_ La dottoressa Sabrina Sergio Gori ha scritto una “lettera aperta” a Roberto Abati, Direttore Generale dell’Asl 3 di Pistoia per chiedere l’attuazione del progetto regionale “Codice Rosa” anche su Pistoia. Attualmente sono 10 le aziende sanitarie della Toscana che applicano il “Codice”, ovvero un protocollo di tutela delle vittime di violenza e maltrattamenti, già attivo dal 2010 presso l’Asl di Grosseto che ne è capofila. 

La forza del progetto sta soprattutto in un lavoro di squadra che mette in rete molteplici competenze quali i medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, magistratura, forze dell’ordine, associazioni, centri antiviolenza, per fare un’azione coordinata a sostegno delle fasce deboli, e nello stesso tempo perseguire gli autori dei reati. Entro il 2014 il progetto dovrebbe estendersi su tutto il territorio regionale e quindi coinvolgere anche il pistoiese. 
Dai dati a disposizione emerge in tutta la sua drammaticità un quadro allarmante ma di cui sono ancora ignote le reali dimensioni “perché le vittime hanno paura e non parlano anche se nascondono il grande desiderio che qualcuno chieda loro cosa è successo veramente, cosa si nasconde dietro a quella che è stata dichiarata una caduta accidentale in bagno o l’urto contro uno sportello della cucina". La stessa dottoressa Gori (che è stata sindaco di Quarrata per 10 anni ed ora è assessore al bilancio al comune di San Marcello Pistoiese) nel suo ambulatorio di Quarrata ha raccolto la testimonianza di una donna, vittima di abusi e maltrattamenti. 
Oltre a chiedere l’attuazione del protocollo al direttore generale Abati viene lanciata pure la proposta di inserire nei corsi di formazione per i medici anche apposite lezioni sulla violenza di genere.

Questo il testo della lettera:


Caro direttore generale,


sono un medico di medicina generale, e volevo portarle all'attenzione un fatto che mi è capitato in ambulatorio. E' venuta a farsi visitare una signora giovane, che chiamerò con un nome di fantasia, Anna, la quale era stata a visita al Pronto Soccorso e sarebbe stata costretta a fare la fila come tutti per le percosse ricevute.

Io e Anna abbiamo parlato, non senza qualche difficoltà, reticenza, paura e alla fine del nostro colloquio è emersa la verità rispetto alla causa di quelle lesioni. Ho stilato un referto, ho cercato un contatto con chi si occupa di questi reati, infine Anna se ne è andata col suo referto, il suo appuntamento e la sua paura.

Ho letto su Toscana Medica, che la nostra Regione è all'avanguardia per il progetto "Codice Rosa" e mi chiedevo se non fosse giusto che anche a Pistoia, Pescia e San Marcello potesse essere messo a regime.

La mia lettera vuole essere di collaborazione, segnalando un caso, in cui si tratta di una persona in carne ed ossa, anche se purtroppo, non è l'unico caso. Da Anna, che ha una sua storia, una sua sensibilità, una sua sofferenza, si può passare all'universo femminile trattato con violenza, per un malinteso senso di proprietà per amore, che davvero amore non è.

Quante Anna ci sono da noi? Quante sofferenze silenziose? Per questo una stanza tutta per sé, con qualcuno che si chini su queste fragilità, sarebbe un segnale di civiltà. 

Un'altra proposta vorrei farle:
visto che noi medici dobbiamo fare dei corsi di formazione, perché non inserire in quelli che dobbiamo seguire un corso che tratti della materia della violenza di genere?
Sviluppare una rete tra i medici di medicina generale e le strutture territoriali sarebbe utile, professionalmente noi siamo spesso il primo punto di contatto per le persone maltrattate e sarebbe un accrescimento professionale l'approfondimento di questa realtà.

In un territorio dove gli episodi gravi si sono moltiplicati, in una fase dove finalmente l'Italia ha ratificato la convenzione di Istanbul, non ci possiamo permettere di non fare niente: noi donne abbiamo bisogno di sentire che siamo una parte di società che ha valore e non un problema in più.

Certa di un suo interessamento, un cordiale saluto.

d.ssa Sabrina Sergio Gori

Nel 2012, nelle aziende in cui il Codice Rosa era in funzione, sono stati trattati 1.455 casi di maltrattamenti e abusi su adulti e minori: 250 a Lucca, 338 a Prato, 241 ad Arezzo, 466 a Grosseto e 160 a Viareggio. 
Sul totale dei dati rilevati riferito agli adulti, 1.248 sono casi di maltrattamento, 44 di abuso sessuale e 22 di stalking.
Il progetto non è rivolto solo alle donne, ma anche ai bambini, agli immigrati, alle vittime di atti omofobici, agli anziani. 
Questi ultimi rappresentano una categoria tra le più deboli, nei confronti della quale è più difficile proporre interventi che, se pur motivati dall’esigenza di tutela, richiedono in molti casi l’allontanamento della vittima, provocando il suo distacco dal nucleo familiare, unica fonte di collegamento affettivo, anche se problematico, oltre che indispensabile fonte di accudimento e sostentamento.
Altra fascia debole, i bambini: i dati delle 5 aziende del 2012 fanno emergere 113 casi di maltrattamento e 28 casi di abuso sessuale su minori. 
Per contrastare questo fenomeno, sono attivi da tempo nell’azienda ospedaliero universitaria Meyer l’Osservatorio per i diritti del bambino in ospedale e il Gruppo sull’abuso all’infanzia e all’adolescenza, G.A.I.A., creato per aiutare i minori vittime di abusi e maltrattamenti che giungono all’osservazione clinica.


Andrea Balli

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