La notizia dell’aggravamento delle condizioni di salute di don Renato ha preceduto soltanto di pochi minuti l’annuncio della sua morte, eliminando così, almeno a chi scrive, la possibilità di un ultimo saluto prima della sua definitiva partenza.
Il suo stato fisico era da tempo fortemente compromesso e non lasciava più nessuna fondata speranza di un sostanziale miglioramento. Una situazione durata parecchi mesi, anzi diversi anni, vissuti con esemplare rassegnazione e la consueta volontà di essere presente, come se nulla, o quasi, fosse cambiato. Fino ai limiti dell’impossibile.
Così scompare uno dei protagonisti della storia recente della nostra diocesi, lasciando a tutti il ricordo di una presenza intelligente, attiva, incisiva, nei vari campi in cui egli ha svolto la sua intensa attività pastorale.
La pastorale giovanile è stato il suo primo e forse più sentito impegno, durato molto tempo con risultati ben visibili a chi gli viveva accanto e ne seguiva le vicende. Erano quelli i tempi in cui l’Azione Cattolica mostrava la sua prorompente vitalità e conosceva i suoi giorni migliori.
Don Renato dette il suo valido contributo a un’opera di formazione spirituale ancora verificabile nei molti giovani che lo seguirono con affetto e disponibilità. Si deve dire onestamente che fenomeni del genere non si sono più ripetuti nella nostra diocesi, almeno con la stessa intensità e gli stessi risultati. L’insegnamento della Religione nel nostro Liceo classico lo aiutava in quest’opera tanto delicata quanto importante e difficile.
Il secondo impegno della sua vita sacerdotale fu la direzione dell’Ufficio Catechistico diocesano, anche questa prolungata per un lungo tempo con la stessa incisività e la stessa competenza. I tempi del post-concilio erano tempi di lavoro alacre in vista di un miglioramento di una situazione che faceva vedere chiaramente, e non da allora soltanto, i limiti e le manchevolezze di un vecchio e superato sistema, che almeno i più anziani ricordano.
Il tema dell’evangelizzazione, divenuto oggi fondamentale e determinante, faceva già sentire i suoi richiami e le sue urgenze. Bisognava innovare e don Renato lo fece con entusiasmo e passione, non incontrando sempre la comprensione degli interessati.
Chiamato a collaborare con l’Ufficio nazionale, egli cercò di portare nella nostra diocesi metodi, concetti, itinerari, a cui davano vita i nostri migliori catecheti del momento. Un’opera di grande spessore che almeno i più sensibili ai segni dei tempi apprezzarono e cercarono di attuare fedelmente.
Don Renato, in tutta la sua personalità, aveva il timbro dell’innovatore e del riformatore. Un vestito che gli si addiceva a pennello. In tempi che richiedevano cambiamenti urgenti e radicali, egli si trovava così perfettamente a suo agio. Un buon captatore dei segni dei tempi, su cui si gettava come d’istinto e con grande vigoria.
E finalmente, ancora per molto tempo, la missione svolta, con la sagacia di sempre, nel campo dell’assistenza agli handicappati. Anche qui un passaggio ben visibile e consistente, che è riuscito a imporsi all’attenzione della città, la quale necessitava di un’adeguata cultura e sensibilità. Anche per merito suo, oggi il problema è maggiormente sentito e avvertito non solo nella chiesa ma anche all’interno della società civile. Un servizio che, anche per mezzo suo, il mondo cattolico ha prestato all’intera comunità.
Don Renato è morto quasi per caso all’ospedale, ma da molto tempo egli viveva all’interno della casa famiglia da lui voluta ed edificata in una nuova costruzione dell’associazione che aveva contribuito a formare. Lì è trascorsa l’ultima stagione della sua vita, lì è scritta sulla pietra l’ultima sua testimonianza di cristiano e di sacerdote. Ora saranno soprattutto i suoi assistiti che lo accompagneranno con la preghiera e la commozione all’ultima sua dimora.
I suoi tutori e i suoi intercessori, secondo le stesse parole di Gesù, il quale chiedeva ai suoi discepoli di farsi amici gli amici di Dio, perché nell’ora della fine potessero essere accolti “nelle dimore eterne”. I malati, i poveri, gli ultimi, sono i grandi amici di Dio. Non c’è per questo da dubitare che a don Renato siano ora aperte le porte del paradiso, anche per l’intercessione di questi numerosi e riconoscenti amici. Insieme a loro, lo consegnano ora nelle mani del Padre tutti coloro che l’hanno conosciuto e hanno goduto della sua presenza e della sua instancabile azione sacerdotale.
Durante la sua vita, egli ha avuto anche momenti di contrasto e di polemica per certe sue posizioni non da tutti condivise e accettate. Ma ora, nel momento supremo della morte, tutte le nostre piccole polemiche vengono meno e tutti i limiti che, almeno in parte ognuno di noi si porta per sempre con sé, vengono cancellati dall’infinita misericordia di Dio, il cui giudizio è certamente più buono e più benevolo del nostro, non sempre disinteressato e obiettivo. Grazie a Dio, ci sarebbe da dire. È alle sue mani che in questo momento affidiamo il suo spirito. Il silenzio della morte copre tutto e i pensieri si fanno più veri e più solenni di sempre.
Per parte mia, nella ricongiunzione dell’eternità, esprimo la speranza di poter continuare ancora quelle interminabili vasche percorse lungo la via provinciale del nostro comune paese di origine, fra la casa dei suoi genitori e quella dei miei nonni, dove abitavo normalmente per l’assenza della mia famiglia.
Con la meraviglia attonita della sua sorella, che attendeva inutilmente il fratello all’ora di pranzo e, quando ci incontrava insieme, ci rimproverava con dolcezza e malcelata soddisfazione. In paradiso ci saranno certamente strade analoghe da percorrere in su e giù, quasi all’infinito, per la comunione delle idee e l’approfondimento sempre possibile dell’amicizia e della fraternità.
Alla fine di queste brevi e affrettare note, che non avrei mai pensato di dover scrivere, mi piace affermare che, nonostante tutto, quello spirito dei tempi della nostra gioventù, non è venuto mai meno. Credo, anzi sono sicuro, che altrettanto si possa dire di don Renato, come più volte lui stesso mi ha confidato.
L’addio si sostanzia di questa certezza e in questa profonda comunione di spirito trova il suo conforto e il suo sigillo supremo.
Sopra di noi, delle nostre vicende, delle nostre piccole storie, rimane sovrana e inalterata la certezza della speranza cristiana, capace di oltrepassare vittoriosa anche le ombre e le oscurità della morte. Di questa speranza, prima che maestri, noi siamo figli e testimoni.
E’ l’ultimo insegnamento, l’ultima consegna, dell’amico che ci lascia solo fisicamente.
Fonte: www.diocesipistoia.it
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